Da lavoro stagionale a professione a tutti gli effetti: il cameriere oggi è una figura centrale nella ristorazione, ma il riconoscimento economico e contrattuale fatica a stare al passo con le competenze richieste.
Negli ultimi anni, il settore della ristorazione ha vissuto trasformazioni radicali, che hanno portato a una rinnovata attenzione verso il ruolo del cameriere. Quella che un tempo era considerata un’occupazione stagionale, spesso riservata ai giovani studenti, si è evoluta in una professione vera e propria, con competenze trasversali e responsabilità crescenti.
La pandemia, il progressivo cambiamento del mercato del lavoro, l’abolizione del reddito di cittadinanza e il diffuso dibattito su salari e diritti hanno messo in evidenza le criticità di questa figura chiave del settore.

Le competenze richieste oggi a un cameriere
Il cameriere del 2025 è ben lontano dallo stereotipo del semplice “porta piatti”. Oltre a preparare la sala e servire ai tavoli, è chiamato a conoscere le norme di igiene, gli allergeni, le tecniche di servizio, i prodotti del territorio e, spesso, anche le lingue straniere. È una figura centrale nella comunicazione tra sala e cucina, capace di gestire ritmi frenetici con professionalità e cortesia. Se la formazione scolastica fornisce le basi teoriche, è l’esperienza sul campo a fare la vera differenza. Il livello richiesto varia sensibilmente a seconda del tipo di locale, ma il denominatore comune resta l’elasticità e la capacità di adattamento.
Retribuzioni tra norma e realtà
Secondo il contratto collettivo nazionale del settore turismo e pubblici esercizi, uno stipendio base per un cameriere full time si aggira ancora attorno ai 1.500 euro lordi al mese, corrispondenti a circa 1.250 euro netti, per 40 ore settimanali. Ma la realtà è spesso più sfumata: le differenze geografiche, la stagionalità, la specializzazione e l’informalità diffusa in molte attività fanno sì che i compensi effettivi varino considerevolmente. Le ore lavorate superano spesso quelle contrattuali e le mansioni si ampliano senza riconoscimenti proporzionati.
Contratti irregolari e pressioni quotidiane
Nonostante il quadro normativo sia chiaro, molti lavoratori si trovano ancora a operare in condizioni precarie o poco trasparenti. Turni estenuanti, contratti part-time che mascherano impegni full time, compensi sottodimensionati rispetto all’impegno richiesto: il lavoro del cameriere resta, per troppi, sinonimo di sfruttamento. Il rispetto delle regole dovrebbe essere il punto di partenza per un cambiamento, ma da solo non basta. Serve una nuova cultura del lavoro, che valorizzi il capitale umano e le competenze acquisite.
Riconoscere la professionalità per migliorare il settore
Il tema del giusto compenso continua a essere centrale. Tra i professionisti del settore, si discute di cifre minime che dovrebbero partire da 30 a 50 euro per servizi di circa cinque ore nei locali standard, con aumenti proporzionati a esperienza, tipo di clientela, orari festivi o notturni. In molti casi, le richieste non riguardano aumenti smisurati, ma semplicemente un equo riconoscimento del lavoro svolto. La qualità del servizio al cliente, oggi più che mai, è direttamente proporzionale alla motivazione e alla formazione del personale.
Un cambiamento culturale necessario
Il richiamo a una maggiore equità e rispetto nel mondo della ristorazione non è più rimandabile. Valorizzare figure professionali come quella del cameriere significa innalzare il livello complessivo dell’accoglienza, favorire la fidelizzazione dei lavoratori e, in ultima analisi, migliorare l’esperienza del cliente. Il percorso è ancora lungo, ma passa da alcuni punti fermi: il rispetto dei contratti, la formazione continua, il riconoscimento delle competenze e una maggiore consapevolezza collettiva dell’importanza di chi lavora ogni giorno “in sala”.